Brano: [...] gusto, gli storici; sicché, io direi, alla educazione del critico italiano che si sforzi oggi di ricondurre la propria attività di studioso dei fenomeni letterari ai principi e allo spirito del marxismo, piú che i critici in senso stretto della nostra generazione e di quella precedente, sono di aiuto Marx, Engels, Mehring, Labriola, Gramsci, Lukàcs, e, come esempio altissimo di una critica tutta storicamente e politicamente impegnata, Francesco De Sanctis. Il che non esclude — è ovviò, ma sarà prudente ribadirlo — la piú severa preparazione tecnica, e la conoscenza ragionata dei propri colleghi di oggi a qualsiasi scuola appartengano.
In questo senso, dunque, l'opera di Gramsci rientra di pieno diritto nella storia della nostra critica letteraria, come quella di un uomo che all'arte, e ad una concezione e definizione di essa, ha dedicato assai del sino tempo e del suo ingegno, e che, riflettendo sulla storia civile italiana e dandone una propria originale interpretazione, ne ha dedotto — o ha lasciato spunti perché altri deducesse — una inter[...]
[...]he un'opera sia bella, per il suo contenuto morale e politico, e non già per la sua forma in cui il contenuto astratto si è fuso e immedesimato » 4. Dove vi è certo la lezione crociana, e vi è il rifiuto e come il timore di certo schematico
i L. V. N., p. 50.
2 L. V. N., p. 49.
3 L. V. N., p. 6.
4 L. V. N., p. 11.
228 i documenti del convegno
gretto positivismo che l'Estetica del Croce aveva dissolto; ma vi è anche la lezione fruttuosa del De Sanctis, e vi è lo spirito del piú serio marxismo che, con Marx ed Engels, aveva anch'esso continuamente messo in guardia dal sociologismo, dalla confusione tra contenuto e forma, dal passaggio meccanico dal giudizio storico al giudizio estetico'.
Però le stesse frasi che ho citate, e altre consimili che si potrebbero spigolare, lette nel loro contesto, che è il solo modo di leggerle, non sono affatto crociane, e sono, anzi, della concezione crociana dell'arte e della critica un superamento radicale. Tanto che, proprio in quelle note è il passo tante volte citato in questi anni, e certo di fondament[...]
[...] altre consimili che si potrebbero spigolare, lette nel loro contesto, che è il solo modo di leggerle, non sono affatto crociane, e sono, anzi, della concezione crociana dell'arte e della critica un superamento radicale. Tanto che, proprio in quelle note è il passo tante volte citato in questi anni, e certo di fondamentale importanza ad intendere Gramsci: « Insomma, il tipo di critica letteraria propria della filosofia della prassi è offerto dal De Sanctis, non dal Croce o da chiunque altro (meno che mai dal Carducci) » 2; un passo riassuntivo e incisivo, in cui la coscienza del proprio distacco da Croce si esprime in termini netti, anche se, almeno nelle righe riportate qua su, ancora negativi piuttosto che positivi.
Ma anche i termini positivi, dell'affermazione dopo la negazione, ci sono, e sono chiari, sicché l'antitesi CroceGramsci risiede nello spirito piú profondo delle due opere, in quella concezione del mondo che è dietro ogni sistema di pensiero e gli dà la sua impronta precisa.
La prima netta distinzione è nel fatto che il Gramsci,[...]
[...] E. GARIN, Cronache di filosofia italiana, Bari, 1955; M. ABBATB, La filosofia di B. Croce e la crisi della società italiana, Torino, 1955, per cui mi permetto rinviare ad una mia recensione in Mondo operaio, IX, 1956, n. 3.
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propria natura ideologica può essere, in un determinato momento storico, la piú comoda e utile delle ideologie!
Ma qui proprio è la differenza tra il tipo di critica propugnato dal Croce e quello del De Sanctis e di Gramsci; una differenza che è, originariamente, ideologica, ma si fa presto tecnica. La critica d. Croce, voglio dire, serve un'ideologia conservatrice; quelle di De Sanctis e di Gramsci servono ideologie progressive; ma, intanto, per servire ognuna la propria ideologia, l'una diviene critica della pura forma, della distinzione netta tra poesia e nonpoesia, tra struttura e poesia, e via dicendo, le altre si atteggiano come critiche dei contenuti e delle forme tutt'insieme, e tendono a fondere struttura e poesia in un tutto organico. Ecco, dunque, perché dicevamo assurdo affermare che per Gramsci si possano conciliare crocianesimo (o neoidealismo) e marxismo; il problema di Gramsci è
invece quello di giungere ad una fase ulteriore e nuova storicamente
aggiornata[...]
[...]apporti, e tende sempre a delineare, sia pure per rapidi cenni, il «,panorama ideologico» 1 che è intorno ad esso. Sicché, in ultima analisi, potremmo dire che tutti i giudizi critici che abbiamo di Gramsci non sono che frammenti di una storia letteraria, di quella storia letteraria che egli non scrisse, ma di cui ci ha lasciato il disegno e lo scheletro.
Che è, poi, il punto in cui la critica letteraria di Gramsci meglio coincide con quella di De Sanctis, ma è pure il punto in cui ne diverge con maggiore energia 2.
Tutti e due, infatti, mirano a risolvere il giudizio critico in un giudizio storico, inquadrando opere e autori in una storia della letteratura che sia una storia della civiltà italiana sub specie litterarum. E tutti e due perciò disegnano Gramsci disegna solo, De Sanctis vi aggiunge i colori — una storia civile italiana dalla cui trama si spicchi e rilevi, pur tutt'una con essa, la storia letteraria, simile al volto umano che Dante scorge, dipinto dello stesso colore e pur tutto in risalto, sull'una delle circonferenze divine.
Ma la storia civile italiana che Gramsci tratteggia è poi tutta diversa da quella del De Sanctis, come dev'essere necessariamente diversa la visione che della storia italiana ha il marxista Gramsci da quella che aveva avuta, alla fine del Risorgimento italiano, il democratico De Sanctis.
La visione storica del De Sanctis era — sono cose ormai note — democratica e progressiva, ma era, tuttavia, quella di un borghese democratico educatosi al Romanticismo e tempratosi nelle lotte risorgimentali; di un uomo per cui la letteratura italiana aveva avuto il gran vizio di non essere popolare e realista, ma per cui pure popolare aveva ancora, su per giú, l'accezione che gli aveva data il Berchet nella sua Lettera semiseria. Mentre per Gramsci il male che aveva minato nei secoli la
1 M. S., p. 17.
2 Per quanto segue mi permetto rinviare ad un mio saggio « Di che fanno la criticai critici? », in Mondo operaio, IX, 1956[...]
[...] arretratezza economica,
e via dicendo), ma furono anche, per la stessa ragione, nello stesso momento, culturali: cultura falsamente umanistica, accademismo letterario, Arcadia, brescianesimo, e cosí via dicendo.
In questo modo le classi subalterne, escluse fino allora dalla storia letteraria, vi entrano di pieno diritto, e la storia della letteratura diventa una storia nazionalepopolare. Le aveva escluse la storiografia romantica, compreso il De Sanctis, senza forse una precisa coscienza; le aveva escluse coscientemente il neoidealismo italiano, che aveva affermato con orgoglio i diritti della propria classe, sola protagonista di storia. Ora invece queste classi subalterne invadono se non il proscenio lo sfondo; non parlano qualche volta, ma la loro muta presenza colorisce e qualifica il dramma che si svolge piú avanti, cosí come il Convitato di pietra per essere muto non resta però estraneo al dramma, che egli condiziona con la sola sua ombra.
Ecco, allora, che nelle pagine dei Quaderni del carcere è una miniera inesausta di spunti e di te[...]
[...] permettono di intendere meglio, su uno sfondo piú largo anche la storia
e la cultura borghesi, se è vero che queste vissero non isolate, ma in un vivo continuo ricambio con la vita, la cultura, le lotre delle classi popolari, alla cui attività quella delle classi egemoniche fu spesso una reazione, non comprensibile se non vista in rapporto alle azioni che polemicamente la determinarono.
Lo schema storiografico sotteso alle interpretazioni del De Sanctis era il frutto della storiografia romantica, e poggiava tutto su un conflitto, a volte drammatico, tra età — medioevo, Illuminismo, Romanticismo — nelle quali la letteratura era stata impregnata di serie convinzioni religiose
o civili, ed età — Umanesimo, Rinascimento, e poi via via, Seicento barocco, Arcadia — nelle quali, invece, staccandosi dalla vita reale, era stata mera cultura, o pura arte, o giuoco, per alto ed esperto che fosse.
La critica letteraria successiva ha accolto e, in un certo senso, ha mantenuto fino ad oggi quello schema; ma lo ha progressivamente attenuato, scolorito, s[...]
[...]ella letteratura italiana sono apparsi piú una continuazione in volgare della letteratura latina medievale, che il frutto di una nuova situazione storica e sociale; cosí come il secondo Settecento è stcto ora ritratto verso la prima arcadica metà del secolo, ora rigettato verso l'Ottocento, è apparso ora continuazione dell'Arcadia ora presentimento del Romanticismo (Preromanticismo), senza piú, in alcun caso, quei larghi motivi innovatori che il De Sanctis vi aveva scorti, trutto della nuova cultura illuministica. Voglio dire, insomma, che paral lelamente alla riduzione della poesia a pura forma, e cioè al suo svuotamento culturale e sociale, si è avuto, per le stesse ragioni, ne fossero o no consci i singoli critici, uno svuotamento dello schema storiografico costruito, sul lavoro dei secoli precedenti, dai romantici. Ed è ovvio: ridotta l'opera d'arte a «poesia » senza un substrato politicosociale, tutte le opere d'arte diventano piú o meno simili tra loro, senza nemmeno piú differenziazioni profonde di stile.
Gramsci, invece, riintroduce ne[...]
[...]n due rami: uno esercitò in Italia una funzione cosmopolitica, collegata al Papato e di carattere reazionario, l'altro si formò all'estero, coi fuorusciti politici e religiosi ed esercitò una funzione cosmopolitica progressiva nei diversi paesi in cui si stabilí, o partecipò all'organizzazione degli Stati moderni, come elemento tecnico nella milizia, nella politica, nell'ingegneria ecc. » 4. Il che gli permette, ancora una volta, di ritornare al De Sanctis, ma ad un De Sanctis rinvigorito della sua piú democratica concezione storiografica: «Esso [l'Umanesimo} ebbe il carattere di una restaurazione, ma,
L. C., p. 138; dr. anche I., p. 22 sgg.; P., p. 155; R., pp. 510; 18 sgg.; ecc.
2 Poemetti del Duecento, a cura di G. PETRONIO, Torino, 1951.
3 G. PETRONIO, « La posizione del Decameron », in La rassegna della letteratura italiana, a. 61°, s. VII, aprilegiugno 1957.
4 R., p. 15.
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come ogni restaurazione, assimilò e svolse, meglio della Masse rivoluzionaria, che aveva soffocato politicamente, i principi ideologici della classe vinta, che non[...]
[...]uardo educato alla comprensione dialettica della storia ed alla considerazione della parte che in essa hanno avuta le forze subalterne, il Gramsci appunta sul Risorgimento, ed anche qui la visione tradizionale, monarchica e moderata, dell'Ottocento svela la sua faziosa fallacia, ed anche qui Gramsci semina spunti e germi che attendono di essere svolti e sistemati. Se perciò qualcuno ha potuto giustamente parlare della necessità di uno studio del De Sanctis « secondo Gramsci » piuttosto che «secondo Croce », potremmo dire che anche lo schema della letteratura italiana va oggi approfondito, chi voglia rifarlo secondo interessi democratici e moderni, « secondo Gramsci », e non secondo la concezione moderata e liberale di cui il Croce ha dato gli esempi piú alti 3.
1 R., p. 27.
2 Per Umanesimo e Rinascimento cfr. ancora I., p. 36 sgg.; M. S., p. 85 sgg.; per il Machiavelli cfr. soprattutto Mach., p. 3 sgg.; 115 sgg.; 211 sgg.; R., p. 13; L. C., p. 47. Per un esempio recente della fertilità di alcune intuizioni gramsciane sul Rinascimento, oltre a[...]
[...]empi piú alti 3.
1 R., p. 27.
2 Per Umanesimo e Rinascimento cfr. ancora I., p. 36 sgg.; M. S., p. 85 sgg.; per il Machiavelli cfr. soprattutto Mach., p. 3 sgg.; 115 sgg.; 211 sgg.; R., p. 13; L. C., p. 47. Per un esempio recente della fertilità di alcune intuizioni gramsciane sul Rinascimento, oltre ai saggi ben noti di E. Garin, cfr. A. TENENTI, Il senso della morte e l'amore della vita nel Rinascimento, Torino, 1957.
3 Cfr. V. GERRATANA, « De SanctisCroce o De SanctisGramsci », in Società, VII, 1952, n. 3, p. 497 sgg. Sul tema di questa comunicazione si possono inoltre consultare utilmente il saggio di C. SALINARI, « Il ritorno di De Sanctis », in Rinascita, IX, 1912, n. 5, con la replica di B. CROCE, « De SanctisGramsci », in Lo spettatore italiano, V, 1952 ,n. 7; e le recensioni di N. SAPEGNO a Letteratura e vita nazionale (in Società, VII, 1951, n. 2) e di E. JACOMELLI, « Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo stato moderno di A. G. », (ivi, VI, 1950, n. 1).
238 I documenti del convegno
Ma vi è ancora di piú. Rinnovare gli schemi estetici indicando un nuovo modo di leggere, rinnovare gli schemi storiografici indicando un punto nuovo di vista, significa aiutare non solo ad una diversa e nuova comprensione dei « contenuti » delle singole specifiche opere d'arte, sibbene proprio ad una valutazi[...]
[...]e giudizio può essere accettato o rifiutato; va, a dir meglio, discusso, concretamente, filologicamente, ad accertare se ed entro quale misura sia esatto e rispecchi la mentalità del Manzoni, quale essa ci si manifesta in concreto nei Promessi sposi. Ma qualora esso risulti esatto, in tutto o in gran parte, esso spiana la via ad un nuovo giudizio estetico del romanzo, o, in genere, dell'opera manzoniana: il giudizio che del Manzoni aveva dato il De Sanctis è tutto legato alla sua distinzione tra « liberali » e « moderati » e « democratici », alla sua persuasione, una cinquantina di anni dopo la pubblicazione del romanzo, che occorresse ora assorbire l'ideale nel reale, come stava infatti facendo il nuovo realismo o naturalismo europeo. E da questa sua concezione del rapporto, nei Promessi sposi, tra ideale e reale nacquero tutti i suoi saggi, fino alle piú minute osservazioni puntuali. Piú tardi la critica letteraria italiana, seguendo il processo involutivo della nostra cultura e della nostra società, si sforzò di eliminare il peso del reale n[...]